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    Viaggio verso la speranza…

    Si dice che il Bene, al contrario del Male, non fa rumore. L’ennesima dimostrazione riguarda l’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore, dove c’è stata una mobilitazione generale di tutto il personale per curare e aiutare un gruppo di migranti sbarcati nelle acque salernitane il 19 luglio.

    Queste persone, dopo aver raggiunto il Mediterraneo su un barcone, sono state prelevate e accompagnate al porto di Salerno con la nave “ETNA“. Ad aspettarli dopo la lunga traversata c’erano medici con varie specializzazioni, tra cui la Dottoressa Annarita Sullo, angrese, facente parte dell’equipe medica dell’unità operativa malattie infettive del suddetto ospedale, la quale ci ha rilasciato l’intervista che parla di una delle questioni più strumentalizzate, polemizzate ed estremizzate degli ultimi anni in Italia: quella dei migranti.

    Noi di ANGRI ’80 abbiamo avuto la possibilità di affrontare un tema che ci sembra così distante vedendo le notizie nazionali, ma che questa volta ci tocca così da vicino; non solo, abbiamo avuto modo di trattare e capire succintamente le motivazioni che spingono una massa così ampia di individui a scappare dai propri territori di origine e fare un passo verso una terra per loro diversa, ma accogliente, come l’Europa. Un viaggio che manifesta un fine comune a tutti, una ricerca di qualcosa che noi diamo totalmente per scontato, quello della speranza di assicurare un futuro migliore per sè e, in questo caso, per i propri figli.

    In che condizioni trovaste i migranti appena sbarcati e quali furonoi primi aiuti che avete prestato?

    Quando arrivarono queste persone erano in uno stato pietoso, vederle soffrire è stato avvilente; le condizioni igieniche erano pessime, la maggior parte aveva scabbia e pidocchi.

    Pensa che tanti di loro erano addirittura scalzi ed avevano solo i panni che indossavano, chi possedeva qualche indumento in più lo teneva addosso per paura che qualcuno glielo rubasse. Una signora vestiva con tre pantaloni, la camicia e il cappotto mentre al porto faceva un caldo allucinante.

    Qualcuno sorrideva, probabilmente perchè qui intravedono la speranza di un futuro migliore.

    Appena scesi dalla nave furono subito reidratati e alimentati. Alcuni, in particolare sei bambini e quattro mamme, che non erano in grado di andare in un centro di accoglienza a causa delle loro pessime condizioni di salute dovute a malattie infettive, li portai con me nel mio reparto perchè necessitavano di un ricovero urgente.

    Quali sono stati i tempi di guarigione di questi bambini? E, una volta dimessi, dove andarono?

    Due di loro guarirono dopo pochi giorni, mentre il resto rimase in ospedale fino agli inizi di agosto. Quando furono dimessi vennero accompagnati nei centri di accoglienza per raggiungere i loro genitori. In questo caso specifico per la maggior parte ad aspettarli c’erano le mamme perchè i padri già si trovavano nel Nord Europa, tra la Svezia e la Germania.

    Le parlarono della traversata prima di arrivare qui?

    Si, le mamme che erano ricoverate qui mi dissero che stavano già viaggiando da diversi anni, alcune di loro partorirono addirittura strada facendo. Attraversarono due deserti prima di prendere il barcone con cui arrivarono sulle coste italiane.

    Pensa che un’altra signora, appena la nave attraccò al porto, fu portata subito in sala parto perchè stava per partorire a momenti. Sono storie assurde e ognuno ha la sua.

    Le confidarono  anche le motivazioni per cui si inizia un viaggio così lungo e difficile?

    Alcune donne mi dissero che dove vivevano non c’era la guerra ma nonostante ciò sono scappate via perchè i loro figli non avrebbero potuto avere un futuro, non avrebbero potuto avere nessuna possibilità di fare una vita dignitosa. Venivano tutte dall’Eritrea.

    Non è solo la guerra, ma, in questo caso, è la situazione socio-politica, la povertà totale e la mancanza di opportunità nei Paesi di appartenenza a far emigrare queste persone.

    Per quanto riguarda le donne, la maggior parte di loro raggiunge i mariti che si trovano nel Nord Europa, dove hanno iniziato una nuova vita e potranno garantire ai loro figli e alle mogli qualcosa che a noi sembra scontato ma che per loro è sempre stato un sogno come l’istruzione, un lavoro e l’assistenza sanitaria. Insomma, tutti loro, non solo nell’Italia ma, soprattutto, nell’Europa, vedono la grande speranza di tempi migliori per sè e per i loro figli.

    Quanto impegno ci avete messo per soccorrerli?

    Personalmente e come ospedale abbiamo dato un grande contributo, in quei giorni me ne andai sempre  molto tardi per badare a loro, dimostrammo grande vicinanza sia da un punto di vista medico – infatti poco dopo le cure i bambini stavano bene erano di nuovo vivaci – che da un punto di vista personale.

    Coinvolgemmo le associazioni che con il loro contributo non fecero mancare niente, dai vestiti, ai giocattoli alle schede telefoniche internazionali. Il frigorifero era pieno di latte e Parmigiano Reggiano e festeggiammo anche il quinto compleanno di una bambina. Facemmo veramente tutto per loro e questa è stata una grande soddisfazione e felicità per me.

    Le ha fatto piacere aiutare queste persone?

    Quando ebbi la chiamata dall’ospedale venerdì 18 luglio mi resi subito disponibile.

    Mi ha fatto molto piacere aiutare queste persone, mi sono sentita gratificata e questa esperienza mi ha arricchito tantissimo. Quando dimettemmo i bambini per me fu un giorno triste, mi affezionai tantissimo a loro.

    Come vede per loro questo nuovo futuro?

    Io mi auguro che sarà roseo.

    Per quelli che hanno un familiare integrato in Europa sarà sicuramente un futuro più tranquillo, perchè hanno già un punto di riferimento ed una collocazione. Purtroppo per quelli che ancora non hanno niente si prospetta un avvenire in cui dovranno ancora combattere, e tanto. Spero solo che non portino problemi dato che ne sono la maggioranza, erano tutti uomini dai venti e i trent’anni.

    In virtù di questa esperienza diretta può fare una sua considerazione generale sulla questione dei migranti?

    Da quello che ho visto loro lasciano il nulla. Non è possibile che essere umani debbano avere così poco e subire contesti di guerra e miseria. Mi rendo conto che essere genitori è una grande responsabilità e arrivare al punto di non poter garantire nemmeno il latte o il pane ai tuoi bambini ti spinge a fare atti estremi come questo.

    Io ci ho messo il massimo impegno, gli auguro un futuro sereno e spero solo che saranno grati di tutto quello che noi abbiamo fatto per loro e non creino ulteriori problemi in un territorio come il nostro che già non vive una situazione facile.

    Noi abbiamo già dimostrato che siamo totalmente aperti all’aiuto e vorrei che loro ci ricambino con il rispetto per il nostro Paese.

     

     

    Gian Maria Manzo

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