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    La buonanima del nonno diceva…

    Settembre
    Cumm’ e’ doce chest’aria settembrina
    che dinte a’ stu’ core scenne chiano chiano.
    S’addorme o’ sole e’ a’ sera s’abbicina.

    La mattina presto, nelle ancora calde ma ventilate giornate di fine settembre inizio ottobre, proveniente da Somma Vesuviana, arrivava ad Angri con la sua bicicletta il venditore di uva “catalanesca” del monte Somma. Il venditore era alquanto affaticato, non solo per il lungo percorso ma anche per il peso dei due grossi cesti piazzati sui portabagagli anteriore e posteriore della bici, Dai cesti fuoriusciva l’uva “catalanesca” color giallo-paglierino dall’odore floreale con buccia molto spessa ma croccante e con polpa zuccherina.
    Il “vignaiuolo” che propagandava la vendita della sua uva dorata al grido di “ ‘a catalanesca ‘e Somma cumm’ è ddoce” smetteva l’annuncio a voce distesa all’arrivo del banditore comunale che, secondo la norma, aveva precedenza assoluta.
    Il banditore, dopo aver suonato la trombetta, ad alta voce, proclamava i pubblici bandi, le ordinanze oppure pubblicizzava al popolo le merci che i commercianti mettevano in vendita. Nel primo dopoguerra, e per tutti gli
    anni cinquanta, regnava ancora l’analfabetismo perciò gran parte della popolazione non era in grado di leggere
    manifesti ed annunci commerciali e per questo nei comuni necessitava la figura del banditore civico.
    Ad Angri i banditori erano due: “Sciore” di professione panettiere ed all’occorrenza con incario di banditore comunale e “Siluco”, lustrascarpe di mestiere ed in alcune circostanze banditore come seconda attività. “Sciore” la mattina la riservava agli annunci commerciali, diretti soprattutto alle massaie che a quell’ora erano ancora in casa ma pronte per uscire per la spesa. Per prendere la posizione classica, “Sciore” si fermava al centro della strada a gambe divaricate; la mano sinistra poggiava sul fianco mentre la mano destra portava alla bocca la trombetta d’ottone dalla quale usciva un suono forte ed acuto per richiamare l’attenzione delle donne addette alla spesa; dopo tre lunghi squilli di tromba, a voce distesa e con tutto il fiato che aveva nei polmoni, “Sciore” annunciava, sempre in dialetto napoletano, il messaggio che gli era stato commissionato dal commerciante: “Sentite, sentite ncoppo o’ Carmine se venne o’ vino nuviello a’ poco prezzo”, oppure “nanze” San Giuvanne e’ arrivata a’ carne e’ vitiello a bassa macellazione; currite pecchè sta’ già pe’ fini”, oppure ancora “e’ stata perduta ‘na jatta cu’ o’ musso ianco e niro; chi l’ha truata l’ha può cunsigna’ sotto ‘o Comune. A padrona darà ‘na ricca ricumpenza”. I bandi più importanti “Sciore” li dava di sera, al calar del sole, quando la popolazione era raccolta in casa “O’ Sinnaco manna a’ di’ che rimane manca l’acqua; facitive na’ bbona pruvvista” oppure “O’ sanitario fa dievito e’ magna’ cozze crure altrimenti si rischia e’piglia’ o’ tifo e o’ paratifo”.
    Bisognava avere molto fiato e buone gambe, e “Sciore” ne aveva, per portare gli annunci in tutte le strade del paese. Naturalmente intorno a “Sciore”, assieme alle mamme, si radunavono anche i bambini che con i loro strilli coprivano ed annullavano le sue parole. Essi, però, venivano prontamente zittiti dalle loro mamme che volevano capire le novità del bando. Molte volte il banditore veniva pagato in natura dal committente, con la stessa merce che aveva pubblicizzato. “Sciore” con una padronanza che gli proveniva da una più che decennalle esperienza, decantava i prodotti con la voce simile ad una cantilena musicale e all’occorrenza con toni alti e bassi.
    Quell’atmosfera particolare che si creava, convinceva le donne all’acquisto dei prodotti. Poco classico ma più incisivo era “Siluco” l’altro banditore quando faceva terminare i suoi annunci comunali con “Accattateville che è bbuono pe’ vuie”. Però “Siluco” mostrava tutta la sua verve emotiva quando per le vie di Angri annunciava la morte “A sango o’ vero” del prode Orlando, paladino di Francia alla corte di Carlo Magno. Il teatrino dell’opera dei pupi siciliani, condotto con arte e maestria da don Vincenzo di Vietri sul Mare, stazionava ad Angri per circa un mese. In occasione della rappresentazione finale, girando per le strade del paese, con voce rotta dall’emozione, “Siluco” dava il ferale annuncio della morte di Orlando. Però nel momento conclusivo della rappresentazione, quando Orlando veniva sopraffatto dai Saraceni, “Siluco”, che era presente allo spettacolo, dava libero sfogo al suo “dolore”. Si alzava in piedi e in perfetta simbiosi tra reale e virtuale, dopo aver inveito con improperi e parolacce contro il traditore “Cana e’ maganza” gli tirava le proprie scarpe, tra le risa compiaciute dei presenti.

    Antonino Pastore

    (dal numero di Ottobre 2013)

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