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    Il nuovo libro del professore Giuseppe Robustelli, docente al Liceo “don Carlo La Mura”.

    “Ciao papà”

    «Che sul piano fisiologico padri e figli adolescenti vivano un conflitto ancestrale è assodato. Anche gli antichi personalizzavano l’odio fra generazioni attraverso i miti: nella teogonia di Esiodo, Urano viene evirato da suo figlio Crono grazie ad un arma fornitagli da sua madre Gea, atto che ripeterà suo figlio Zeus sul padre Crono. Questi infatti sa che sarà ucciso da un suo figlio e per tale motivo inghiotte tutti i suoi figli tranne uno, Zeus, che lo detronizza ottenendo il comando del mondo. Il mito prendeva già atto della rivalità di generazioni che fra vecchia e nuova si contendono il dominio dell’ambito familiare prima, e di quello politico – sociale dopo. Sul piano psicologico, fu Freud a teorizzare – dopo averlo scoperto in se stesso – il famoso complesso di Edipo, per cui- il bambino in una fase dell’infanzia si sente attratto dal genitore di sesso opposto e percepisce come rivale quello del medesimo sesso al punto di desiderarne la morte», introduce così Guglielmo Caiazza il nuovo lavoro di Giuseppe Robustelli – Ciao papà (ilibri della leda, editrice Gaia, Angri 2015, euro 12,00).
    143 pagine attraverso cui il docente di greco del Liceo di Angri descrive il suo essere padre. Proprio come nel suo precedente libro “Insegnare con filosofia”, (editrice Gaia, 2014) descriveva il suo essere docente. In maniera schietta e disinvolta.
    Oggi la complessità ha allargato la distanza tra padri e figli. I genitori non capiscono i figli. E i figli disorientati nella maggioranza dei casi rispondono sibilando o con “secchi si/no” ai tentativi degli adulti di entrare nel loro mondo.
    Ci sono genitori “vittime”, che mollano davanti alla testardaggine delle loro creature. Quelli troppo “amici”, che ignorano cosa facciano i loro figli quattordicenni il sabato sera e fin dove arriva il loro desiderio di “sballo”. Genitori che quarant’anni fa si battevano per un mondo migliore e ora scappano dalle loro responsabilità, quelli coi sensi di colpa, gli inadeguati che finiscono per assecondare l’omologazione dei loro figli alle mode omologandosene a loro volta.
    Ma cosa fare? Come comportarsi con questi figli dell’era di internet “fortissimi” nei rapporti virtuali ma spesso fragili e indifesi nelle relazioni reali?
    Al di là delle analisi storiche, psicologiche, sociologiche e antropologica sull’argomento e delle ricette di esperti che spesso si rivelano inefficaci, sempre validi appaiono – come suggerito anche nella acuta prefazione – alcuni principi dettati dal semplice buon senso, cui ogni genitore potrebbe ispirarsi: mai scaricare sui ragazzi il proprio senso di sfiducia o di frustrazione, trattarli sempre in maniera benevola, mai accusarli di nullafacenza, responsabilizzarli e aiutarli a scoprire la propria vocazione. Soprattutto incominciare a far credere a questi figli che il mondo gli appartiene.
    Ma questo è possibile solo vivendo di più con loro, standogli a fianco, ascoltandoli e dialogando. Ed è proprio questo che Robustelli propone al lettore: l’ascolto, il dialogo. Ciao papà è una testimonianza scritta in modo chiaro e facile da un padre che non esita a mettersi in gioco. Che si confronta con i propri figli su ogni argomento e senza preclusione alcuna. Il confronto non sempre è vincente, talvolta discutibile per modalità che al lettore potrebbero apparire alquanto “giovaniliste”. Ma è un confronto sempre sincero. «Quando ero ragazzino – scrive Robustelli rievocando catarticamente il suo rapporto col padre, al quale con orgoglio dedica il libro riconoscendogli di avergli “insegnato cosa sia il sacrificarsi per gli altri” – sentivo spesso il bisogno di parlare con mio padre, che vedevo di rado, perché lavorava dalla mattina alla sera. Capitava, in su assenza, di avere tanti dubbi alcuni erano terribili e mi angosciavano, per cui, quando lo vedevo in giro per casa, gli rivolgevo mille domande, fino ad assillarlo. Ricordo che mi evitava o peggio non mi rispondeva e ciò mi provocava un senso di frustrazione. A volte lo odiavo. I miei, per lui, erano problemi futili. Ma crescendo ho capito. Mio padre ha davvero sacrificato tutto per il lavoro, soprattutto se stesso, devo ammettere che appartiene ad una generazione di uomini che il Padre eterno ha creato con grande generosità, il cui numero sulla Terra, tuttavia, è molto limitato». Per questo motivo – continua Robustelli – «se nel mio primo libro “Insegnare con filosofia” ho difeso la categoria degli insegnanti di materie letterarie, ormai non più di moda, in questo secondo lavoro “Ciao papà” ho deciso di descrivere il modo di approcciarmi alle problematiche che riguardano i miei ragazzi, consapevole che essi, in determinati momenti, hanno bisogno anche della figura paterna che li sappia consigliare, far riflettere e, se è necessario, aiutare a piangere per catarsi. Sono cresciuto con il desiderio di dialogare con mio padre, per questo motivo i miei figli devono sapere che io ci sono e che sono sempre disponibile al confronto. Nel testo ho voluto dividere socraticamente i dialoghi avuti con le mie figlie da quelli con mio figlio, pur essendo incentrati su tematiche simili, affinché si evinca che sono pronto ad affrontare ogni tipo di argomento con ognuno di loro. Ogni dialogo è avvenuto realmente e l’idea di far terminare ognuno di essi con il saluto ciao papà è nata dal fatto che io voglio comunicare che ho ascoltato fino alla fine i miei ragazzi, anche se non sono stato esaustivo o, semplicemente, banale. Ma ho ascoltato! Le tematiche? La gioventù, il carpe diem, l’hic et nunc, l’amore, il futuro, l’omologazione, l’essere alternativi, insomma la vita. Ai miei figli ho voluto gridare forte il mio desiderio di godersi la vita, di vivere intensamente e di non abbattersi mai, perché a ogni problema c’è quasi sempre una soluzione». Giuseppe Robustelli è nato e vive a Sarno. Si è laureato in lettere classiche all’Università degli Studi di Salerno ed è docente di Latino e Greco di ruolo nei licei. Soprattutto è uno che scrive: «Un buon padre non è inferiore ad una buona madre: lei lo ha partorito e nessuno nega il miracolo, ma lui ama spesso in silenzio, consapevole di essere, il più delle volte, il secondo nel cuore del ragazzo, mentre nel cuore di un padre il figlio è al primo posto».
    Giuseppe Colasanto

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