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    I Lea, il cappotto e il piatto di maccheroni.

    Avete mai visto un cappotto? E un piatto di pasta? Sicuramente sì.
    E non c’è bisogno di spiegare che senza mangiare per molto tempo o senza coprirsi dal freddo in inverno si muore.
    Avete mai visto i L.E.A.? No? Sicuro? Eppure senza di essi (Livelli Essenziali di Assistenza), molti di noi sarebbero al cimitero o, i più fortunati, vivi ma pieni di debiti.
    Per capire cosa, proviamo a copiare tali e quali le parole del sito del ministero della Salute:
    “I Livelli essenziali di assistenza (Lea) sono costituiti dall’insieme delle attività, dei servizi e delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale (SSN) eroga a tutti i cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza.”
    Traduzione: Lo Stato e le Regioni hanno stabilito (nel 2001), di comune accordo, un “elenco” di visite, analisi, cure, farmaci, interventi chirurgici che devono essere dati gratis, o al massimo con un piccolo ticket a tutti i cittadini italiani senza alcuna distinzione di reddito e di luogo di residenza.
    Questo elenco è fatto da tre gruppi: uno si chiama “assistenza sanitaria collettiva in ambiente di lavoro”, uno “assistenza distrettuale” e uno “assistenza ospedaliera”.
    Nel primo vi sono le vaccinazioni obbligatorie (che come sapete non si pagano) e i controlli che si fanno sull’acqua degli acquedotti, sui cibi nei supermercati, negli ambienti di lavoro ecc.,
    Nel secondo gruppo ci sono le cure dei medici di famiglia e dei pediatri (che possono scegliere liberamente da un apposito elenco del proprio comune di residenza), le medicine, le analisi, le protesi, la riabilitazione, le cure domiciliari per i pazienti allettati ecc.
    Il terzo è costituito dalle prestazioni degli ospedali, che, sono quasi tutte gratuite, compreso “il vitto e l’alloggio”.
    Non sono nei Lea – e perciò si devono pagare di tasca propria – tre tipi di prestazioni mediche: 1) quelle che non è sicuro che funzionino, ad esempio le medicine non convenzionali (agopuntura, omeopatia) o alcune fisioterapie poco efficaci; 2) quelle che si fanno per divertimento o lusso (per esempio la visita per la patente nautica o per il porto d’armi); 3) quelle che servono per solo “bellezza” e non per salute (ad esempio interventi per cambiare la forma del naso o del seno solo perché non ci piacciono così come sono).
    L’anno prossimo il LEA saranno ridefiniti, inserendo nuove cose che si sono scoperte essere importanti e togliendo altre che si sono rivelate inutili con l’esperienza scientifica.
    Gli studiosi e le “alte sfere” del Ministero della salute sono al lavoro.
    Ma quanto costano mantenere i LEA in funzione? Una barca di soldi.
    Per l’anno in corso il Servizio sanitario nazionale è finanziato per 112 e rotti (direbbe Totò) miliardi di euro. Per l’anno prossimo sono stati “stanziati” 115 miliardi e 444 milioni. Questi soldi vengono dalle tasse statali e da quelle delle Regioni.
    Il livelli essenziali di assistenza sono secondo me il “figlio” più bello della nostra Costituzione, che ci spiega che davanti alla salute siamo tutti uguali e lo Stato garantisce le cure gratuite a chiunque ne ha bisogno (art. 32).
    Quando nasce un bimbo subito gli “scegliamo il pediatra” o decidiamo di cambiare il medico (ufficio “scelta e revoca”, ad Angri in via Semetelle, tutte le mattine in orario di Ufficio tranne giovedì).
    Ma, diceva una studiosa qualche giorno fa a un convegno, “in realtà noi non scegliamo, noi nasciamo già nel Servizio sanitario nazionale”, proprio per indicare l’accoglienza a tutti (non è così in molte nazioni del mondo).
    Abbiamo parlato perciò di una cosa bellissima, utilissima e che ci costa un occhio (circa l’otto percento della ricchezza prodotta in un anno in Italia viene spesa dallo Stato per garantire la salute). Una cosa che ci dobbiamo tenere cara. Come? Controllando sempre che chi gestisce le strutture del Servizio sanitario faccia cose giuste per tutti. Facendo la prevenzione. E salvaguardando l’ambiente.
    Insomma le cose di cui abbiamo parlato. E di cui continueremo a parlare.

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