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    Francesco Adinolfi, il sindaco della transizione da monarchia a repubblica

    A poco meno di un anno dallo sbarco degli Alleati a Salerno, il 6 giugno 1944 Francesco Adinolfi viene eletto Sindaco di Angri. Omonimo, e chissà anche se parente, di quel Commendatore Francesco Adinolfi che fu ininterrottamente Sindaco del paese per oltre trent’anni, dal 20 gennaio 1883 al 25 luglio 1918, si trova a capo dell’Amministrazione civica in un periodo confuso e travagliato, fra la fine del conflitto e il primo Dopoguerra.
    Nel 1944 l’Italia liberata e l’Agro sono teatro di centinaia di incidenti automobilistici, spesso mortali, e di ripetuti crimini perpetrati dagli angloamericani; l’ordine pubblico è mantenuto con grandi sforzi, borsanera e malcostume dilagano! L’Arma dei Carabinieri Reali dell’Italia Liberata (come si definiva allora), ripetutamente invia rapporti riservati alle Autorità di governo sulla tragica realtà di quel periodo, mettendo in cruda evidenza questi aspetti.
    Italiani e forze di liberazione (o di occupazione?) sono reciprocamente diffidenti ed è il nuovo Regio Esercito che, dopo il battesimo del fuoco a Montelungo, funge da “catalizzatore” per far sì che la nuova Italia dimostri la sua volontà di voltare pagina e dimenticare il “Ventennio”. Ma dovranno passare ancora mesi prima che l’intera penisola venga liberata dai nazisti e la guerra finalmente cessi.
    Ad Angri uno dei primi uffici del Sindaco Adinolfi è la stipula dell’accordo, siglato il 25 agosto del 1944, tra il Partito Agrario Italiano e l’Associazione dei Commercianti, che in quel periodo gestiva l’assegnazione dei generi razionati. Il P.A.I. aveva in fitto un locale per la propria sezione in via Giovanni da Procida, di proprietà del signor Alberto D’Ambrosio, mentre l’Associazione Commercianti utilizzava degli ambienti insufficienti per stoccare le derrate da distribuire alla popolazione. L’Adinolfi concluse l’accordo per un reciproco scambio, ma successivamente il P.A.I. sollevò severe critiche, minacciando anche pesanti ritorsioni nei confronti dello stesso sindaco, per via di brogli legati all’accordo precedentemente raggiunto.
    Durante l’estate del 1945 il paese è in pieno fermento sul piano politico. I socialisti e il fronte dell’Uomo Qualunque aprono delle sezioni, si susseguono comizi e agitazioni nelle fabbriche, mentre gli Alleati continuano a “monitorare” e a indirizzare le scelte di politica interna.
    Questo è lo scenario in cui si muove Francesco Adinolfi e la sua Giunta.
    Fervente sostenitore della monarchia Sabauda, darà però le dimissioni da Sindaco, in segno di protesta per gli esiti del referendum popolare del 2 giungo 1946 e della partenza per l’esilio di Umberto II di Savoia, avvenuta il 13 giugno.
    Su Umberto II, già Luogotenente Generale del Regno dal 1944 e divenuto Re d’Italia il 9 maggio 1946, a seguito dell’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III, erano state riposte tutte le speranze dei monarchici per cancellare il ricordo della connivenza della casa Sabauda con il Fascismo.
    Certamente, sulla decisione dell’Adinolfi avranno pesato anche le notizie dei sanguinosi scontri avvenuti a Napoli fra il 7 e il 12 giugno 1946, che costarono la vita a 10 militanti monarchici (6 dei quali al di sotto dei 22 anni) e registrarono una cinquantina di feriti. Motivo principale dei tumulti fu l’esposizione di un Tricolore senza lo scudo sabaudo all’esterno dei locali della Sezione del Partito Comunista di via Medina, che i monarchici tentarono di togliere, non essendo stati ancora resi noti i risultati definitivi del referendum.
    Napoli, in quegli anni, era una delle “roccaforti” monarchiche e non a caso in quei travagliati giorni apparve in città un numero unico, dal titolo la VOCE MONARCHICA, con un’affermazione attribuita a re Umberto, al momento della sua partenza per l’esilio, stampata a tutta pagina.
    Ma il nostro sindaco Adinolfi, oltre alla sua fede politica, coltivava anche la Fede religiosa. E apprendiamo da una nota del 25 luglio 1945, con cui la Prefettura di Salerno dava notizia al Ministero dell’Interno, che alle ore 18 del 15 corrente in Corbara, con l’intervento di circa 300 persone, ha avuto luogo un pubblico comizio, indetto dal Partito Democratico Cristiano, in occasione dell’inaugurazione di quella sezione, sul tema: “Cristianità”.
    Hanno parlato l’Avv. Adinolfi Francesco, Sindaco di Angri, l’Avv. De Vito Antonio, da Corbara, la professoressa Russo Giovanna, segretaria provinciale, e il parroco della Parrocchia di S. Bartolomeo di Corbara.
    L’evento, marginale sul piano storico, mette tuttavia in evidenza lo “spessore” politico e morale dell’Adinolfi, unico relatore non locale, oltre la rappresentante provinciale del partito, e per di più amministratore di un vicino paese. Ma un altro aspetto non va sottaciuto, soprattutto perché impensabile e rigorosamente bandito fino a pochi mesi prima: la partecipazione attiva alla vita pubblica delle donne!
    Oggi siamo abituati a vedere le rappresentanti del “gentil sesso” occupare posti di prestigio e di responsabilità o espletare lavori una volta considerati rigorosamente maschili, ma chi ha superato gli “anta” sicuramente ricorderà come ad Angri alle donne era vietata finanche la presenza ai funerali dei congiunti, che venivano accompagnati in chiesa e al cimitero dai soli parenti maschi! Figuriamoci affidargli incarichi pubblici!!
    Quindi, seppur per un periodo molto breve di appena 24 mesi, ma intensissimo per i profondi mutamenti che avvennero nel tessuto sociale di Angri e della nazione, il Sindaco Francesco Adinolfi è stato –forse anche inconsapevolmente- uno dei promotori di quei cambiamenti che hanno ridisegnato, nel periodo post bellico, la geografia dell’impegno pubblico e privato italiano.

    Giancarlo Forino
    Associazione PanacèA

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