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    Diario del direttore artistico-6

    Sesto appuntamento con la rubrica che vuole raccontare, in maniera assolutamente non seriosa, gli eventi della rassegna, i personaggi che ne fanno parte, come artisti e organizzatori, i fatti particolari, visti dal direttore artistico della TERZA edizione della Rassegna “Angri a teatro”.

    20/01/2014

    Devo ammettere che la visita di oggi alle ragazze di Progetto Danza, che saranno protagoniste del prossimo spettacolo in cartellone il 2 febbraio, mi ha spalancato le porte di un mondo completamente nuovo e incredibilmente affascinante. Sono andato all’incontro volutamente a digiuno di informazioni, in modo da assistere alle loro prove – già questo è un privilegio per il quale le ringrazio – senza nessuna idea preconfezionata su quello che avrei visto. Presumo che la danza porti inscritta nel suo codice genetico di arte una sorta di primogenitura: in altre parole, è verosimile che le prime forme spettacolari che l’essere umano abbia concepito appartenessero proprio alla danza. Basti pensare alla χορεία nell’antica Grecia, che venne ben prima del carro di Tespi. Quindi, mi sono avviato con la certezza che in ogni caso avrei compiuto una specie di ritorno alle origini. Ho chiesto a Rosa De Angelis, che di Progetto Danza è la direttrice artistica, da dove avesse tratto ispirazione per le coreografie di Silence e di Sensuality and simplicity, i due cicli di lavori che andranno in scena al teatro di S. Caterina. Quando mi ha raccontato che per la prima parte (incentrata sul tema della nascita), si era ispirata al suo lavoro di insegnante di sostegno a contatto con ragazzi diversamente abili e alla tenera e libera poesia che si può ritrovare nel loro mondo interiore, ho pensato che fosse un punto di partenza estremamente interessante. Non a caso, anche Robert Wilson, un nome di fondamentale importanza per il teatro contemporaneo, ha lavorato a lungo con ragazzi diversamente abili, producendo spettacoli di una straordinaria purezza formale. Le coreografie, che le ragazze mi hanno fatto vedere, posseggono una grande forza comunicativa. Confesso di essere rimasto ammirato da almeno due cose: la concentrazione che ho letto negli occhi delle ragazze mentre eseguivano passi e movimenti nello spazio, segno di una rigorosa ed ammirevole dedizione all’arte; e l’architettura dei movimenti, che disegnavano scene di grande equilibrio formale, anche quando i corpi di disponevano in figure asimmetriche. Quasi a dire: è dall’apparente caoticità delle emozioni che nasce la vera poetica della visione. Ho chiesto alle nove protagoniste (alcune di loro giovanissime) cosa provano mentre danzano. Una di loro, Giulia, mi ha risposto: «Un grande senso di libertà». Forse si potrebbe assumere questa come regola universale: soltanto attraverso l’acquisizione consapevole di una tecnica e del senso della disciplina, ci si può veramente sentire pienamente e assolutamente liberi. Congedandomi da loro ho riflettuto sul fatto che queste ragazze, guidate dalla mano sicura di Rosa, sono riuscite a farmi intravedere una strada diversa dell’espressione spettacolare. Non sempre le parole si rivelano lo strumento indispensabile per comunicare qualcosa. A volte può bastare anche solo una serie di fouettés, per poter esprimere molto più di se stessi e del mondo intorno, che non tanti discorsi.

    Vincenzo Ruggiero Perrino

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