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    Diario del direttore artistico-23

    Ventitreesimo appuntamento con la rubrica che vuole raccontare, in maniera assolutamente non seriosa, gli eventi della rassegna, i personaggi che ne fanno parte, come artisti e organizzatori, i fatti particolari, visti dal direttore artistico della TERZA edizione della Rassegna “Angri a teatro”.

    19/04/2014

    Mi arrivano, tramite e-mail, notizie da Alfonso Sessa.

    Conosco Alfonso da quando eravamo piccoli. Da molti anni ha iniziato un suo personale percorso di ricerca teatrale, che lo ha portato a calcare anche palcoscenici della capitale.

    Devo dire anche che Alfonso è stato il primo che ha portato in scena un mio copione. Infatti, dopo l’esperienza con il duo di cabaret “I folletti” (insieme con Vincenzo D’Andretta), iniziò la sua carriera da solista. E, incluse un mio breve testo sperimentale (tanto sperimentale che in scena non c’era nemmeno un attore, bensì un uovo di cui il pubblico sentiva raccontare una storia), nel suo primo spettacolo, intitolato So…risi e patate, che ebbe luogo nel 1999 al Centro Sociale di Pagani. Insomma, possiamo dire che abbiamo esordito insieme!

    Ricordo che in occasione di uno spettacolo che organizzammo nella casa del cittadino (quando ancora non era stata occupata dagli scranni del consiglio comunale), fece un monologo su uno degli apostoli che si ritrova da solo dopo la morte di Gesù. Qualche tempo dopo quel monologo era diventato una storia più grande, intitolata Questi santi!

    Lo scorso anno aveva portato in scena una storia sulla rivoluzione napoletana del 1799, che riscosse un bel successo di pubblico, così come aveva già fatto nelle numerose repliche a Roma. Con questo spettacolo, Alfonso aveva dimostrato di aver sviluppato un particolare stile, molto vicino a quello dei “narr-attori” dell’ultima generazione: un po’ alla maniera di Ascanio Celestini, riusciva a far rivivere personaggi, fatti e situazioni, con il solo ausilio della parola e di pochissimi oggetti di scena.

    E quest’anno?

    Quest’anno, propone un nuovo lavoro, uno studio, dal titolo Capuzzelle, ovvero l’invenzione del purgatorio. Un assaggio di questo spettacolo s’era visto durante la festa per i trent’anni di “Angri ‘80”, nel novembre dell’anno scorso. Lì, Alfonso aveva recitato qualche brano del testo, che stava andando completando proprio in quelle settimane.

    Da quello che mi ha scritto nell’e-mail è una storia in cui sacro e profano sono intimamente intrecciati: la materialità di questa terra in qualche modo trova un passaggio per giungere alla spiritualità dell’aldilà, proprio nella dimensione purgatoriale.

    Mi scrive, infatti: «La più grande invenzione dell’uomo? Il purgatorio. Il terzo regno, quello di mezzo, la porta a misura nello smisurato portone del paradiso. Si dice che il purgatorio sia una specie di sudatorio puteolano, dove l’anima si purga per divenire del cielo degna. E queste anime sono diventate sempre di più, sono cresciute a dismisura. Sono anime non del tutto buone, ma nemmeno cattive. Come i mercanti che poi sono diventati usurai e subito dopo banchieri. Dove mettere le anime dei banchieri? Allora bisognava far combaciare il cielo con la terra. I banchieri non sono nati per il paradiso, ma non meritano nemmeno l’inferno perché dallo ‘sterco del diavolo’ hanno fatto sbocciare fiori profumati per la Fabbrica di San Pietro».

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