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    Diario del direttore artistico-14

    Quattordicesimo appuntamento con la rubrica che vuole raccontare, in maniera assolutamente non seriosa, gli eventi della rassegna, i personaggi che ne fanno parte, come artisti e organizzatori, i fatti particolari, visti dal direttore artistico della TERZA edizione della Rassegna “Angri a teatro”.

    05/03/2014

    Stamattina ho sentito Antonio. La compagnia Anziteatro tra una decina di giorni porta in scena Ferdinando di Annibale Ruccello.

    Antonio, io e qualche altro amico (insieme ai quali abbiamo poi dato vita ad Anziteatro), qualche anno fa organizzammo una manifestazione in occasione del ventennale per la morte di Annibale Ruccello. Fu l’occasione per parlare un po’ di quest’autore, che paradossalmente è più conosciuto nel resto d’Italia che non in quei territori di provincia che furono fonte principale della sua ispirazione drammaturgica. Ispirazione non soltanto per l’uso di un particolare dialetto napoletano, ma anche per la notevole operazione di rilettura della contemporaneità, effettuata sempre con una sensibilità mutuata dai canoni della tradizione.

    Ferdinando, che nel 1986 venne segnalato con un premio IDI, è il suo testo forse più celebre, nel quale tutti i motivi delle opere precedenti trovano mirabile sintesi. Per capire gli esiti della drammaturgia di Ruccello, è bene ricordare che negli anni della sua formazione, egli fu studente di antropologia. Universitario, si era interessato all’approfondimento dei linguaggi popolare e sulle tradizioni contadine.

    La sua scrittura è curata, attenta a creare un’atmosfera carica di mistero e di imperscrutabilità anche nelle più banali faccende domestiche. La sua produzione, fatta eccezione per gli iniziali adattamenti di opere altrui (I gingilli indiscreti; Napoli-Hollywood, un’ereditiera; L’asino d’oro), conta appena sei commedie. Possiamo dividere l’opera di Ruccello in tre fasi: la prima (Le cinque rose di Jennifer, Notturno di donna con ospiti e Weekend), da lui stesso definita “quotidiano da camera”; la seconda (Ferdinando), caratterizzata da un meticoloso lavoro di ricerca storica e linguistica; la terza, di impostazione surreale (Anna Cappelli e Mamma – Piccole tragedie minimali).

    I suoi personaggi (sempre donne) sono sempre persone estremamente sole, che si dibattono ora negli affanni della quotidianità (come nelle prime del “quotidiano da camera”), ora nel confronto con l’impietoso meccanismo della storia e della grettezza politica (come in Ferdinando). E questa solitudine è sempre turbata da qualcosa o qualcuno che irrompe nelle vite di queste donne e sconvolge le loro esistenze apparentemente normali.

    Anche le protagoniste di Ferdinando sono donne sole, anzi chiuse nell’impenetrabilità di una decadente nobiltà sono incapaci anche di dialogare tra di loro, se non per rinfacciarsi, offendersi, umiliarsi continuamente e reciprocamente. Le eroine di Ruccello vivono in una condizione esistenziale segnata dalla mancanza di un reale interlocutore, dalla mancanza di qualcuno cui ancorare le proprie incertezze. Si tratta di una solitudine senza rimedio, alla quale è concessa un’unica via di fuga, quella nell’irrazionalità di un sogno ad occhi aperti che nella pièce ha le fattezze di questo giovane che appare nella vita di Clotilde e di fatto la seduce.

    Anche in Ferdinando troneggia una figura femminile, donna Clotilde, anche lei rifugiata nella sua alcova dignitosa, ma priva dello vivacità di un tempo, anche lei chiusa nella sua antica villa per proteggersi dagli invasori piemontesi, anche lei animata da un’antica saggezza popolare, anche lei disperatamente alla ricerca di un punto di contatto con la realtà. Ferdinando, che riecheggia i modelli del romanzo storico (I viceré di De Roberto), ma anche il Pasolini di Teorema e il Genet di Le serve, è, da un lato, il canto del tramontato splendore borbonico; da un altro lato, si propone nuovamente come un itinerario in una dimensione mentale nella quale l’accavallarsi degli eventi della Storia si confonde con le individuali carenze affettive dei personaggi. Ma, in Ferdinando, non si può non cogliere un forte pessimismo di fondo. Infatti, la non più giovane donna Clotilde si scontra con il giovane impostore Ferdinando, figlio di una generazione senza ideali, proteso all’accumulo di ricchezze, dimentico dei valori della tradizione, che usa il suo corpo per ottenere potere e denaro. Naturalmente non racconto altro (benché molti conosceranno già la storia di Ferdinando, che qualche tempo fa è passata anche in televisione con una magnifica Isa Danieli).

    Però, vi lascio con un’ultima riflessione. Coloro che vedranno la rappresentazione, provino a riflettere sulla grande somiglianza che c’è tra la cupa sessualità della storia, segno di un erotismo crudele, intriso di violenza, e finalizzato sempre all’ottenimento di potere e denaro (che a me personalmente ricorda tanto le avvilenti storie del cavaliere dell’apocalisse che, ahimé, ha fatto scuola per vent’anni nel nostro Paese disgraziato – nel senso di senza grazia).

    Poi, in una prossima puntata vi racconterò della regia di Antonio e dell’interpretazione dei quattro attori in scena.

    Vincenzo Ruggiero Perrino

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