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    “Chiamala violenza… non amore” e “Donne a pezzi”

    Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Partecipata ed interessante duegiorni promossa dal Centro Iniziative Culturali e dalla compagnia Anziteatro, con un convegno il 20 ed uno spettacolo teatrale il 24 Novembre.

    Violenza sessuale, stalking, percosse, mobbing, lesioni, violenza domestica e psicologica. Sono sempre più in aumento i casi di cronaca che vedono protagoniste (e vittime) donne: violentate, abusate, umiliate da padri, mariti, fratelli, uomini in cui riponevano fiducia. Solo nel 2013 sono 123 i casi di “femminicidio” in Italia; una piaga sociale che si allarga a vista d’occhio.
    Il 24 novembre è stata indetta la “Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne”, un urlo che si innalza da ogni angolo del nostro paese, per porre freno a una tragedia, per “cancellare i retaggi di una cultura pseudocattolica, che identifica nell’uomo un ruolo di assoluto potere sulla donna”, come spiega la dottoressa Emiliana Mangoni, sociologa e accademica, intervenuta lo scorso 20 novembre, all’interno del convegno “Chiamala violenza… Non amore”, tenutosi nel Teatro Oratorio S. Caterina, in piazza Don Enrico Smaldone.
    La dottoressa pone, in oltre, un interessante interrogativo, per cercare di dare una spiegazione logica al boom di violenza che si registra negli ultimi tempi: “sono davvero in aumento i casi, o soltanto le denunce?”.
    È possibile, dunque, ipotizzare che l’aumento delle denunce, sia la manifestazione di una presa di coscienza da parte delle donne, fin ad ora educate al silenzio. Quello che evince ascoltando gli esperti, e in particolare la psicologa Raffaella D’Antuono e l’avvocato Francesca Mosca (che insieme seguono uno sportello di supporto per le donne, presso il Comune di San Marzano Sul Sarno), è che le donne non siano semplicemente vittime di un uomo violento, ma dell’intera società.
    Una società che identifica nell’uomo il sesso forte, il fulcro attorno al quale gira l’intera famiglia, perché “è quello che porta il pane a casa”, continua la sociologa, “ci hanno insegnato che gli uomini non piangono, e ci scandalizziamo davanti a un uomo con le lacrime agli occhi. Ma chi l’ha detto che gli uomini non possono piangere?”. L’educazione alla non violenza, concordano gli esperti, deve partire dal basso, dall’educazione, dalle scuole, deve essere sradicato un intero retaggio culturale, purtroppo particolarmente tipico dell’Italia meridionale.
    “Un antico proverbio orientale diceva che la coppia è quando 1+1 da come risultato uno”, spiega ancora la dottoressa Mangoni, “ovvero quando si riesce a raggiungere un equilibrio e una sintonia, che portano a vivere in una perfetta simbiosi, ma non quando un elemento cerca di prevaricare l’altro, o addirittura di cambiarlo.” Ed è questo che un uomo violento cerca di mettere in atto: una manipolazione, prevaricare sulla donna, per avere il controllo, il potere.
    All’interno dell’intervento della dottoressa D’Antuono, sono state sviscerate le cause e le motivazioni che portano un uomo ad essere violento. “È provato” esordisce la D’Antuono, “che un bambino vittime di violenza in famiglia, ha più probabilità di riflettere questo comportamento, una volta adulto”. Ma il vero nemico è da ricercare in quella cultura del silenzio, dell’omertà, del voltare la faccia dall’altro lato, del “lavare i panni sporchi in famiglia”.
    Questo è un aspetto approfondito nel particolare da Pina Mossuto, assistente sociale attiva sul campo e referente di Spazio Donna Salerno. L’esperta, riporta agli occhi del pubblico presente in sala, esperienze vissute realmente a contatto con donne vittima prima di se stesse, della famiglia di origine che insegnava a non parlare, della società, e poi, solo in ultimo, vittime di un uomo. Particolarmente toccante la storia di Filomena, una donna che non è stata salvata in tempo.
    “Dopo una vita di abusi”, racconta la Mossuto, “desiderosa di vivere dignitosamente e senza violenze almeno la propria vecchiaia, decide di separarsi dal marito. Ma nel bel mezzo della notte, lui l’ha svegliata: “Filomè, vir ch’ti dò”. Le ha versato addosso una particolare miscuglio di acidi, che le ha letteralmente mangiato la faccia, il seno, le spalle. E sulla schiena i segni lasciati dai lunghi capelli che portava sciolti”.
    Ma la violenza non è perpetrata solo da mariti e uomini. La violenza non è solo percosse e botte. L’esperta, riporta anche l’esempio di Fatima, una donna colombiana, alla quale, nel suo paese di origine, nella sua famiglia di origine, tra le braccia di sua madre, è stata asportata la clitoride. “Fatima non conoscerà mai l’amore”, conclude. Tante sono le storie come quella di Fatima e tantissime come quelle di Filomena, figlia di una cultura, di un paese, che, almeno in teoria, dovrebbe tutelarla. Cosa sta facendo l’Italia per queste donne? A spiegarcelo, è l’avvocato Francesca Mosca, che nel dettaglio spiega come il governo stia cercando di frenare il fenomeno del “femmicidio”.
    “Il nostro paese è indiscutibilmente lento: risale, infatti, solo al 1996 una legge che attesta l’esistenza del reato di violenza sessuale, e solo nel 2009, una legge anti-stalking. E abbiamo dovuto aspettare il governo Letta, nel 2013, per avere un decreto legge che prima di tutto comprendesse la prevenzione.
    Ma in questo decreto, promosso dallo stesso presidente del consiglio, la donna viene fatta apparire falsamente come debole. E nulla è stato fatto sul territorio, se non un “pacchetto sicurezza” che comunque non finanzia case di accoglienza per queste vittime. Vittime che” preme ricordare all’avvocato, anche in occasione della Giornata internazionale dell’Infanzia, “non sono solo donne, ma anche bambini, che a loro volta, da adulti, hanno più possibilità di diventare violenti”. E sul lavoro che dovrebbe essere fatto sui bambini, si sofferma Silvana Dangelo, abile introduttrice dell’evento, che riporta gli studi di una ricercatrice fiorentina.
    “Nei libri di testo delle scuole primarie, sono stati riscontrati più di 50 mestieri per i maschi e poco più di 15 per le donne, tra cui la fata, la strega, la casalinga, e la mamma”. Ecco allora che la rieducazione dovrebbe partire dal basso, dai più piccoli, formare gli adulti del futuro, per non doverci più ritrovare a vivere “in una società dove insegnano alle donne come difendersi dagli uomini, ma non agli uomini a non violentare le donne”.
    Ultimo intervento, quello del nostro direttore Antonio Lombardi, per testimoniare che quello della violenza sulle donne è un problema che riguarda tutti, gli uomini e le donne e lo si vince con un impegno comune.
    Antonella Grimaldi

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