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    ll punto sulla rassegna “Angri a teatro” con Vincenzo Ruggiero Perrino. Ancora successi tra novità e conferme

    La IV edizione della rassegna “Angri a teatro” è proseguita nel mese di febbraio con altri tre spettacoli di grande interesse e fascino scenico. Ne abbiamo fatto un resoconto con il direttore artistico della rassegna, Vincenzo Ruggiero Perrino.

    Il 25 gennaio è tornato in scena Peppe Lanzetta. Come giudica la sua performance?
    L’artista napoletano ha proposto uno spettacolo dal titolo Con le mani in tasca, raccontando, in oltre un’ora e mezza di monologo intramezzato dalla declamazione di alcune poesie, la sua vita e la sua città: Napoli. L’attore ha ricordato i suoi trascorsi giovanili, dopo il diploma conseguito con l’amico Pino Daniele, lavorando in una banca al centro storico di Napoli.
    Da giovane sessantottino, ribelle e capellone, fu più volte redarguito dal direttore di banca, sempre più infastidito dai suoi ritardi e dalle sue manchevolezze.
    Finché, dopo un litigio con il più facoltoso cliente della banca, Lanzetta decise, pressato dal Consiglio di Amministrazione, di rassegnare le dimissioni e di accarezzare finalmente il suo sogno: diventare un autore e attore teatrale.
    I primi tempi furono irti di difficoltà, ma ben presto i frutti di tanti sacrifici arrivarono: la sua carriera teatrale fu arricchita dalla conoscenza di grandi artisti del secondo Novecento italiano come Carmelo Bene, Leo de Berardinis, Victor Cavallo, Remondi, Caporossi, Memè Perlini. Insomma i padri della sperimentazione teatrale.
    E poi arrivarono il Cinema, l’importante collaborazione con Maurizio Costanzo, con Michele Santoro e l’inizio, negli anni Novanta, di una rilevante carriera di scrittore, confortata dagli encomi di grandi autori come Alberto Bevilacqua, Roberto Saviano e Maurizio De Giovanni.
    Insomma, il monologo di Lanzetta, come sempre eclettico e versatile, ondivago tra il dramma, la satira di costume e la comicità, è un manifesto di vita di un’intera generazione: di coloro che, nonostante l’immobilismo di una parte della popolazione italiana, non è stata “con le mani in tasca”, ma ha lottato per costruire nuovi orizzonti culturali.
    Questa IV edizione ha visto anche una new entry: la Scuola di Teatro “Gregorio Rocco” di Sant’Anastasia…
    Il 1° febbraio, infatti, questa compagnia (di cui fanno parte anche gli angresi Dario Campitiello e Benigno Fantasia), diretta da Carmine Giordano, ha proposto una versione del dramma di T. S. Eliot, Assassinio nella cattedrale, con la consulenza della “dramaturg” Lucia Stefanelli Cervelli, secondo la quale nell’opera emerge «una sacralità nuova, che si rivela non soltanto per l’argomento, già di per sé interno ai valori del mondo spirituale, ma anche e soprattutto nella profondità della parola poetica».
    L’intera storia rende evidente la contrapposizione dei due poteri, quello temporale e quello spirituale, attraverso la figura dell’arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket. Tuttavia, l’opera trova – sempre secondo la Cervelli – proprio nella dimensione collettiva «l’amplificazione di senso che la rende incisiva e sempre presente ai tempi di ogni sua rappresentazione».
    La versione presentata ad Angri, pur con qualche cosa da rivedere, è stata particolarmente suggestiva, poiché, a differenza degli altri appuntamenti, lo spettacolo non è stato messo in scena nella sala teatro, bensì proprio nella chiesa. Grazie alla grande e amichevole disponibilità del priore della Confraternita di S. Caterina, e adottate tutte le precauzioni sacramentali, è stato possibile rappresentare il dramma tra l’altare e i banchi della chiesa. Una scelta vincente e suggestiva dal momento che l’intera storia si svolge, appunto, all’interno di una cattedrale, e perciò la piccola chiesa di S. Caterina ben si è prestata a fare da ambiente per la rappresentazione.
    Mi è piaciuto molto il clima che gli attori hanno saputo evocare con la loro recitazione molto cadenzata e scandita da lunghe battute dense ed elaborate.
    In particolare, le interpreti femminili sono state molto incisive nel rendere il coro delle donne di Canterbury, divise tra la gioia di rivedere il loro pastore spirituale, Thomas Becket, e la paura per i presagi di morte che questo ritorno porta con sé.
    La loro recitazione, forse per qualcuna un po’ didascalica, è stata arricchita da alcuni canti tradizionali, intonati a cappella.
    Anche la scena finale, con i soldati che entrano nella cattedrale e, in nome della loro fedeltà al sovrano, uccidono il “ribelle” Becket, è stata molto intensa, soprattutto nelle battute conclusive, recitate rivolgendosi direttamente al pubblico, chiamato a giudicare la loro azione.
    Sembrava quasi che gli attori passassero da una recitazione immedesimata, ad una straniata, alla maniera di Brecht.
    Tra le conferme, invece, si registra la presenza di Progetto Danza…
    Si è trattato di un altro graditissimo ritorno: il gruppo, diretto da Rosa De Angelis, lo scorso 15 febbraio ha proposto, come lo scorso anno, uno spettacolo diviso in due parti: I have my freedom e American cabaret.
    Nel primo tempo, le allieve dei corsi superiori della scuola di danza si sono esibite in una serie di coreografie che hanno raccontato della necessità continua dell’uomo di ricercare la libertà.
    La seconda parte, American cabaret, ha ripercorso un viaggio dal passato al presente in cui i protagonisti, come in un sogno, passavano dal cabaret degli anni Quaranta a quello dei giorni nostri.
    Il musical, ambientato in America ed arricchito dalle musiche tratte dal musical originale “Cabaret” e dal recente film “Burlesque”, ha visto impegnati anche allievi in erba alle prese con una coreografia molto spiritosa e divertente, con la costante proiezione di suggestive immagini.

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