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    “La Primavera del welfare” del 20 e 21 marzo. Intervista al docente Sabato Aliberti, conduttore del tavolo di lavoro regionale: “Risorse per il welfare”.

    A nove anni dagli Stati Generali del Welfare “Campania Sociale”, la Regione Campania ha organizzato il 20 e 21 marzo scorsi una kermesse straordinaria quanto a partecipazione: “La Primavera del Welfare”, con la presenza strabordante di almeno 1.500 persone, operatori sociali pubblici e privati, del terzo settore, studenti e docenti, assistenti sociali, rappresentanti istituzionali provenienti da tutte le province campane. Il bagno di folla ha sicuramente gratificato il presidente De Luca e l’assessore al ramo Fortini ma rappresenta anche un impegno di responsabilità che ora i vertici regionali dovranno assumere per non disattendere le aspettative dei tanti.
    Ne parliamo con il docente dott. Sabato Aliberti, ricercatore dell’Università degli Studi di Salerno, che ha coordinato il tavolo tecnico “Risorse per il welfare”.
    Composizione del tavolo di lavoro.
    Gruppo di Coordinamento: Franco Picarone – Presidente della Commissione Bilancio, Giuseppe Cavaliere – Direttore del Consorzio “La Rada”, dott. Antonio Pisapia -UOD 02 Regione Campania, le dottoresse Monica Licciardi e Luigina Avolio, assistenti di tavolo per il supporto al gruppo di coordinamento.
    D. La legge 328/2000 ha definito un sistema nazionale di interventi e di servizi socio-assistenziali, da integrare con quello sanitario e con il variegato mondo dei soggetti di Terzo settore. Nell’intento, le risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS) dovevano costituire lo strumento attorno al quale costruire i processi di programmazione e di innovazione degli interventi. A quindici anni dai decreti attuativi della legge, in riferimento a quanto è emerso dal tavolo di lavoro che hai coordinato, qual è la situazione attuale, considerati in particolare i tagli degli ultimi anni alla spesa pubblica?
    R. Sì, in effetti in questi ultimi anni, i forti tagli alla spesa pubblica hanno comportato una continua diminuzione dei fondi statali, che per il welfare si aggira intorno all’80%, rendendo sempre più concreto il rischio di una riduzione dei servizi e sviluppando, al contempo, la tendenza a un ulteriore aggravio di spesa per i cittadini, oggi più di ieri, chiamati ad una maggior compartecipazione al costo dei servizi e delle prestazioni.
    Attualmente l’insieme delle fonti di finanziamento, previste dalla normativa di settore per l’attuazione dei Piani di zona, è costituito dal Fondo Unico di Ambito (FUA) che è composto dalle seguenti risorse finanziarie:
    Fondo Nazionale Politiche Sociali – FNPS
    Fondo Sociale Regionale (FSR);
    fondi propri dei Comuni per le politiche sociali (FC);
    fondi U.E. assegnati al Comune Capofila perché destinati alla gestione dei servizi comuni previsti nel Piano Sociale di Zona;
    Quote di compartecipazione dell’utenza ai costi dei servizi e degli interventi;
    altre risorse, provenienti dai finanziamenti aggiuntivi, pubblici e privati;
    fondi A.S.L. finalizzati a realizzare l’integrazione socio-sanitaria.
    Di questi, i Fondi comunali nei piani sociali di zona hanno un’incidenza superiore al 50% con una partecipazione di quota pro capite superiore alla media ottenuta su base regionale, pari ad €24,96. Le restanti risorse provengono dalle altre fonti di finanziamento più sopra richiamate che, sommate insieme, non raggiungono neanche il 50%. In particolare è stata sottolineato l’insufficiente contributo al FUA, da parte della Regione, che attualmente partecipa con un finanziamento che si aggira intorno all’8% del totale del totale dei fondi.
    D. Situazione davvero preoccupante per i Comuni che devono sopportare il costo della compartecipazione per la realizzazione di servizi sociali fondamentali per i cittadini, soprattutto di quelli meno abbienti, e non poter contare su risorse finanziarie esterne. Come sono state commentate queste problematicità all’interno del tavolo?
    R. I partecipanti al tavolo auspicano un aumento della spesa sociale capitaria, partendo da un più incisivo e concreto intervento della Regione, nell’intento di garantire, nelle more della definizione dei LIVEAS, quantomeno i livelli minimi di assistenza che in alcuni ambiti territoriali sono quasi del tutto assenti. Si propone quindi un maggior impegno economico della Regione che deve essere almeno pari a quello dei Comuni, impegnando risorse aggiuntive, vincolate, da destinare esclusivamente al potenziamento dei servizi. Il Tavolo ha individuato nella lotta all’evasione fiscale, delle addizionali regionali una delle possibili fonti di finanziamento da vincolare alla spesa sociale, auspicando anche una maggiore partecipazione in fase di preparazione del bilancio (Bilancio Partecipato).
    D. Da più parti è stato in questi anni osservato che nelle erogazioni finanziarie la sanità fa sempre la parte del leone, anche quando si tratterebbe di potenziare quegli interventi di natura più prettamente socio-assistenziale che sanitaria.
    R. Il trasferimento di risorse dal settore sanitario, per tutte quelle prestazioni che hanno una maggiore connotazione sociale, ai Piani sociali di zona, consentirebbe, secondo i partecipanti al tavolo, una riduzione del numero di istituzionalizzazioni, soprattutto per le persone con disabilità. Ciò incoraggerebbe una notevole riduzione dei ricoveri in istituto e un incremento di servizi assistenziali domiciliari a favore di una loro più ampia autonomia.
    D. L’impressione prevalente è di essere in un contesto storico in cui ci sono tante potenzialità che non trovano però un progetto condiviso. L’imprenditoria sociale sembrava rappresentasse un futuro per la qualificazione degli interventi, che potesse dare anche una risposta occupazionale ai giovani oltre che garantire un miglioramento dell’offerta dei servizi per le famiglie. Viviamo invece in una situazione di forte precarietà e quel decollo sperato del sociale ha subito una drastica battuta di arresto. Quale ruolo potrebbe avere la Regione nel governare processi che oggi sembrano sfuggire a una regia e si affidano piuttosto alle iniziative delle singole amministrazioni che spesso non utilizzano nemmeno i finanziamenti messi a disposizione della comunità europea?
    R. La sottoutilizzazione dei fondi comunitari (FSE e FESR) ha costituito un ulteriore elemento di discussione del tavolo di lavoro, secondo il quale sarebbe interessante e utile per gli ambiti che la Regione avviasse azioni di informazione e accompagnamento all’utilizzo dei fondi comunitari. La necessità di creare sistema regionale di monitoraggio e valutazione dei servizi erogati dai vari Ambiti, è stato un ulteriore elemento di discussione dei partecipanti al tavolo. Dalla loro nascita, ai piani sociali di zona, che pure hanno trasmesso tutte le informazioni richieste agli uffici regionali, non è mai stato restituito un report relativo ai risultati raggiunti dai vari ambiti. Su questa base di conoscenza si potrebbe avviare anche un più oculato processo di revisione della legge regionale sulla dignità sociale 11/07 che, alla luce dei cambiamenti sociali ed economici che negli ultimi anni hanno coinvolto la nostra Regione, richiede oggi un processo di aggiornamento.
    Un sistema regionale di valutazione dei servizi, che non sia finalizzato a punire o premiare, permetterebbe sia una maggiore conoscenza di eventuali buone prassi sul territorio regionale sia un miglioramento della futura programmazione in un’ottica di ottimizzazione delle risorse consentendo, al contempo, di superare la precarizzazione degli interventi sociali e armonizzando i tempi della programmazione stessa. L’attività di ricerca che da qualche anno l’Osservatorio Politiche Sociali dell’Università di Salerno, ha avviato sulla valutazione dei servizi socio-assistenziali nella Regione Campania, potrebbe costituire un valido contributo in tal senso.
    Nicla Iacovino

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