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    La “lava”

    Oggidì Angri è dotata degli impianti destinati alla raccolta delle acque piovane, anche se a volte la natura diventa talmente violenta da abbattere ogni barriera realizzata dall’uomo per contenere i suoi effetti, come è accaduto in diverse circostanze negli ultimi anni; ma l’esigenza di sistemare e incanalare gli alvei dei monti Lattari risale a secoli addietro.
    Già con i Borboni l’Agro era stato interessato da una serie di interventi idraulici, per lo più mirati a garantire un corretto deflusso delle acque del Sarno e bonificare le aree paludose, che comunque non avevano risolto completamente il problema.
    Nel fondo archivistico del Ministero dei Lavori Pubblici – Bonifiche (2ª serie), conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato di ROMA, esistono diversi documenti che illustrano dettagliatamente la questione e i provvedimenti presi dai primi governi nazionali per individuare ulteriori soluzioni al problema. Così troviamo che intorno al 1885 si completano i lavori per la vasca di chiarificazione del torrente Vicerino; fra il 1890 e il 1895 vengono eseguiti interventi per imbrigliare il torrente di Corbara fino alla strada Nocera – Castellammare; nel 1892 vengono effettuati lavori per ripristinare l’Agro dagli effetti di un’alluvione; fra il 1894 e il 1895 si dà esecuzione a due lotti di lavori sul torrente Vicerino, dal fondo Cerillo alla strada Nocera – Castellammare, con importi di Lire 7.850 e Lire 29.800 (oggi pari a circa 170 mila Euro).
    È il periodo, questo, in cui si costruiscono le famose “catene”!
    E queste notizie solo per tratteggiare i lavori eseguiti nel comparto angrese perché, parallelamente, vennero effettuati diversi interventi idraulici anche sui torrenti Solofrana e Cavaiola, sul Sarno e sui suoi controfossi, e in almeno due casi, vennero realizzati o riparati due ponti.
    Ma cosa accadeva ad Angri quando non esistevano ancora fogne o quando gli impianti per la raccolta e il contenimento delle acque piovane non erano in grado di assorbire completamente la massa d’acqua che scendeva dalla montagna?
    I nostri anziani chiamavano questo fenomeno “corre a’ lava!”.
    Sulle strade che da via Adriana e via D’Anna menano verso il paese l’acqua scorreva con violenza e si faticava per non farla entrare in casa. Via Murelle, dal nome di piccoli muri di contenimento situati a monte della villa comunale, era uno degli scoli montani che serviva per incanalare l’acqua verso l’attuale via Zurlo, che a sua volta era un altro alveo; non a caso ancora oggi si appella l’incrocio con via Giudici “’ncopp ‘o ponte”.
    Stessa sorte per via Concilio, che indirizzava l’acqua in parte seguendo il percorso dell’attuale via Fusco verso una piccola vasca di decantazione (il largo ancora oggi presente all’intersezione di via Zurlo, via Porta Torrione e via Montefusco), un’altra parte verso un cisterna situata sotto il sagrato della Collegiata e l’eventuale surplus verso piazza Sorrento.
    Quindi, per evitare che l’acqua allagasse anche i bassi, spesso utilizzati anche come abitazioni, si montavano rapidamente delle tavole di legno all’ingresso dei portoni; tali barriere temporanee venivano fatte scorrere lungo delle apposite scanalature realizzate sulle grandi pietre che delimitavano l’ingresso delle corti e dei cortili e servivano a contenere l’acqua. Una di queste è ancora visibile lungo via Concilio e pochi (fortunatamente!) ricordano ancora a cosa serviva…
    Giancarlo Forino
    Associazione PanacèA

    Ecco un esempio di pietra con la scanalatura che veniva utilizzata per mettere rapidamente in opera le tavole di legno destinate a contenere l’ingresso dell’acqua nei cortili. Qui siamo in via Concilio

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