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    La buonanima del nonno diceva…

    Agosto
    Cu stu sole cucente
    vaco ‘o mare a Surriento.
    Forse dimane.
    Ma chi vo’ fa nient.
    Agosto, il mese estivo della vacanza al mare, tanto agognato dai grandi ma soprattutto dai piccoli. Però, negli anni del primo dopoguerra, molte persone, per motivi soprattutto economici, le vacanze le trascorrevano nel paese di residenza.
    I nonni come sempre, alle sei del mattino erano già svegli mentre il nipote, che dormiva saporitamente, alle otto in punto veniva svegliato dalla voce, per lui molto molesta, di Giovanniello, il venditore di giornali. Quel cadenzato annuncio ad alta voce “Matino, Romà; o’ giurnale spurtivo” lo infastidiva perché gli spezzava il piacevole sonno. Però, quando più tardi per la dolce aria si spandeva la meliodosa voce del contadino “ ‘e fiche truiane chiene ‘e zucchero, mo’ covote”, il nipote si precipitava dal letto per andare a gustare quella delizia che il nonno certamente comprava in abbondante quantità. Non era passata nemmeno un’ora che nel paese, proveniente da Terzigno sulle falde del Vesuvio, arrivava il venditore di gelse rossastre, carnose e succose che annunziava agli abitanti del rione, a voce spiegata, “Ohi chi vo’ cieuze; e’ arrivato Pascariello cu’ ‘e cieuze”.
    Nascosti dietro ad un muro e senza fasrsi scorgere, i ragazzi discoli del cortile, tutti insieme ad una sola voce e a squarciagola, alludendo, gridavano “Pascariello cu e’ cieuze int’ ‘o panaro”.
    Al coro ingiurioso, senza perdersi di coraggio, “o’ cieuzaro” rispondeva “O’ panaro de’ mamme voste” e poi, al quanto sconsolato, aggiungeva “Ma vuie vedite nu poco sti figlie e’ ntrocchie; vanno truanno a’ chi sfreculia pa’ matina”. Verso mezzogiorno giungeva da San Marzano con un rumoroso “motom” il venditore di “ammarielli, ranogne e anguille vive do’ sciummo e’ Sarno”; la sua voce si confondeva con quella del venditore di spighe di granturco che col ventaglio soffiava sui tizzoni semispenti per alimentare il fuoco della “fornacella”, piazzata sul marciapiede davanti al suo negozio.
    Dall’acqua bollente del pentolone “Totore o’ spicaiolo” tirava fuori la pannocchia fumante e strepitava “Vollene, vollene, e’ pullanchelle”, mentre i soliti “figlie e’ ntrocchie” senza farsi vedere, gli facevano il verso “E’ lasse e’ vollere”. Totore alquanto amareggiato per lo sfottò, ad alta voce commentava “So’ sempe e’ stesse figlie e’ bona mamma”.
    Sul tardi alla fine del suo giro mattutino arrivava “Vicienzo” da Castellammare, un vecchietto con paglietta e fazzoletto al collo per ripararsi dal sudore. “Vicienzo o’ castellone” fermava il suo carretto nel cortile De Vivo e per far capire alle massaie che era arrivato, con un filo di voce per la stanchezza, propagandava la vendita a basso prezzo del pomodoro rosso per la salsa “E’ sciuliata a’ Torre; a’ pummarola pe’ inte ‘o tiano”. Per la verità “Vicienzo o’ castellone” sostava nel cortile De Vivo, non solo per vendere la frutta, ma anche per gustare nel locale di Irene “a’ cantinera” un fresco e frizzante bicchiere di vino di Tramonti. In piena controra giungeva Ferdinando l’acquaiuolo col carretto tirato da un “ciuccio viziosetto” che andava in escandescenza appena si avvicinavano le ragazze in abiti succinti. Nella via “e’ sotto a’ campana” Ferdinando l’acquaiuolo di Castellammare si fermava a vendere le bottigliette riempite di acqua della Madonna, di acqua Acetosella e di acqua Ferrata delle fonti stabiane, tutte freddissime perché coperte da pezzi di ghiaccio. Per invogliare la gente all’acquisto, in quei merigi afosi che facevano grondare dalla fronte abbondanti gocce di sudore, Ferdinando gridava “Quanno e’ cavure nun’ me’ pavate”. Le grida dei venditori continuavano e si sovrapponevono fra loro per tutto il pomeriggio: il pescivendolo Michele “o’ turrese” per invogliare all’acquisto dei neonati pesci bianchetti, cantilenava “cecenielle caso e’ ova”, oppure il cocomeraio con voce simile ad un altoparlante “S’appiccia o’ ciuccio cu’ tutta a’ carretta, mellone chino e’ fuoco”. Però la più attesa in quella calda controra, per la canicola che seccava la gola, era “Maculata e’ ncoppa a’ cappella”.
    Sempre scalza “Maculata” arrivava con una “trainella” su cui era adagiata una bacchetta di ghiaccio coperta da tela di sacco per evitare il suo facile scioglimento; una semplice macchinetta con lama le permetteva di grattare il ghiaccio. I ragazzi all’arrivo di “Maculata” correvano col bicchiere a comprare il “cazzimbocchio” che oggi in modo eufemistico, sulle nostre spiagge, viene chiamato granita. La buonanima del nonno nella cruciale e calorosa controra, seduto sull’uscio di casa in canottiera e con zoccoli, chiamava il nipote, gli porgeva una lira e gli diceva “Nepo’, piglia a’ giarra, va’ da’ Maculata e fatte da’ duje cazzimbocchie a menta pecche’ tengo o’ cannarone che me arze”. Al calar del sole, per la gioia di tutti i bambini, arrivava da Pagani il venditore di caramellato a strisce, steso su carta pesante, gridando “Frambellicche rusicarielle”. Questo venditore quasi sempre associava alla vendita del “frambellicche” anche quella delle sorbole rosse “Sovere rrusulelle, cagna pezze”. I ragazzi facevano festa perché erano ghiotti del caramellato e delle rosse sorbole. Tiravano fuori i panni smessi della famiglia, ammucchiati nei sottoscala, e li consegnavano al venditore che in cambio dava loro una striscia di caramellato insieme ad un “cuoppo” pieno di dolcissime sorbole. A tarda sera i ragazzi più grandicelli si organizzavano per il giorno successivo decidendo di andare a sguazzare nelle fresche acque della “Volletella” oppure, tempo e biciclette permettendo, per un rinfrescante bagno nelle spumose e verdi acque, allora non ancora inquinate, del mare di Rovigliano, nei pressi dello Scoglio.

    Antonino Pastore

    (dal numero di Settembre 2013)

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